mirin

Cos’è il mirin

Il mirin, un vino dolce tradizionalmente derivato da una doppia fermentazione del riso, è considerato uno dei tre sapori fondamentali della cucina tradizionale giapponese. Un condimento versatile ed essenziale, capace di equilibrare i sapori forti e accentuare quelli delicati. La gradazione alcolica è simile a quella del vino, ma il sapore è squisitamente dolce. A noi ricorda vagamente un vino liquoroso come passito o vin santo (realizzati, questi, a partire da frutta, l’uva, non da cereale) più leggero. La consistenza è densa e il colore ambrato.

La storia del mirin

Secondo i documenti storici il “mirin” nacque, in Giappone, durante il periodo delle guerre provinciali (1467 – 1615). Lo mettiamo tra virgolette perché il primo mirin non era lo stesso che consumiamo oggi, ma si modificò nel tempo a causa di diversi fattori tra cui: l’affinamento delle tecniche di produzione del koji, la volontà di creare un prodotto a lunga conservazione (il primo “mirin” deperiva facilmente).
Due sono le ipotesi documentate sulla nascita di questo prezioso ingrediente:

  • la prima afferma che il mirin si sia sviluppato da bevande alcoliche dolci, che già esistevano da tempo in Giappone, come il nerizake e il sake bianco, quando lo shochu (distillato di riso, datato 1500, sviluppatosi nel sud del Giappone) è stato aggiunto per prevenire la decomposizione.
  • la seconda ritiene che sia stato portato in Giappone dalla Cina, durante l’epoca delle guerre civili. Esiste un vino di riso cinese, appunto, chiamato shao xing jiu, che è dolce e vellutato.

Nel periodo Edo (1603-1868), il mirin divenne popolare come bevanda dolce e di lusso, di cui anche le donne potevano godere (vista la minore gradazione alcolica). Tuttavia la dolcezza non era quella che conosciamo oggi. Solo nel XX secolo il mirin, ormai comune a tutti come bevanda o al massimo dolcificante, venne introdotto come condimento in cucina.
Famoso è quello prodotto nell’area di Mikawa, ricca di acqua cristallina e con clima mite, entrambi fattori importanti per la produzione del mirin. In questa zona, lo si prepara attivamente da oltre 200 anni. Ad oggi, Mikawa è considerata la provincia più grande, in Giappone, per la produzione del mirin, vantando aziende che ancora utilizzano l’antico metodo tradizionale (vedi la famiglia Sumiya, nella città di Hekinan) al posto di quello industriale.

Come si prepara

Sono poche le aziende che ancora preparano l’autentico mirin seguendo il procedimento tradizionale. Si inizia in inverno con la preparazione del koji: preparato ottenuto dall’unione del fungo Aspergillus Oryzae al riso, che è alla base di molti ingredienti giapponesi come amasake, miso, shoyu, sake. Il punto di partenza per il mirin è il riso integrale, che viene decorticato e messo a mollo per tutta la notte. L’indomani il riso viene cotto a vapore e poi lasciato raffreddare sotto i 37°. Si inocula con le spore di Aspergillus Oryzae e si lascia riposare nel tradizionale muro, una stanza che prevede umidità e temperatura controllata, dove il fungo può proliferare. La prima notte il fungo inizia a colonizzare il cereale creando la tipica muffa. La seconda notte è quella dove solitamente il “maestro supervisore del mirin” (che solitamente fa questo fin dall’infanzia) supervisiona il koji e regola la temperatura aprendo o chiudendo le finestre presenti nel tetto della camera di incubazione.
Solitamente il terzo giorno termina la preparazione del koji e si inizia la fase successiva.

Nonostante la maggioranza dei produttori, anche in passato, acquistassero shochu (distillato alcolico derivato da riso, tipico giapponese) ottenuto dalla melassa a un prezzaccio, poche famiglie ancora lo preparano autonomamente utilizzando koji, ottimo riso e acqua di sorgente. Questi ultimi ingredienti vengono mischiati e quotidianamente mescolati per un mese, fino ad ottenere un composto alcolico che viene pressato, filtrato e distillato dando luogo a dell’autentico shochu. Non è finita qui.

Del riso dolce (chiamato anche riso glutinoso) viene ammollato e poi cotto a vapore. E qui inizia un lavoro di fatica che prevede lo spostamento (letteralmente spalandolo) del riso cotto su di un piano per raffreddarlo. Chi ha preparato del mochi o dell’amasake sa quanto possa opporre resistenza un kg di riso dolce cotto e appiccicoso. Immagina quando i kg magari sono 50.
In alcuni casi questo ultimo procedimento viene ripetuto anche due o tre volte. Il riso dolce viene quindi aggiunto al shochu assieme al nuovo koji. Questo secondo composto, che prende il nome di mirin moromi, viene lasciato in dei tini a fermentare per 2-3 mesi e mescolato solo qualche volta.

Gradualmente gli enzimi del koji trasformano i carboidrati e le proteine del riso dolce in zuccheri semplici e aminoacidi che, assieme all’alcool, formano un delizioso “budino” di riso.
La fine della fermentazione viene sancita dal mirin master, che annusa e poi assaggia, decretando l’inizio ufficiale della pressatura. Questo dolce liquore, definibile come “mirin immaturo” viene nuovamente spostato nei tini e lasciato invecchiare per circa 7 mesi. Sarà proprio la maturazione estiva a donargli quel colore ambrato e il sapore complesso che conosciamo.
In autunno si procede al filtraggio e poi lo si imbottiglia, rigorosamente senza pastorizzazione.

Come utilizzare il mirin in cucina

Partiamo col dire che il mirin ha la capacità di armonizzare molti piatti. Quel suo sapore dolce arrotonda varie combinazioni, che imparerai a padroneggiare facendotelo amico.
Un ingrediente eccellente per le marinature, le vinaigrettes sia dolci che salate, i brodi e le salsine d’accompagnamento al fritto, gli stufati di verdure, i piatti di pesce, le verdure e i noodles saltati.

Oltre allo squisito sapore, il mirin ha la capacità di mantenere gli altri ingredienti intatti e sodi, donando loro un’invitante patina brillante. Non è un caso che prima della diffusione dello zucchero, venisse utilizzato nella preparazione del riso per sushi. Il mirin lasciava una gradevole nota dolce, separando e lucidando i chicchi. La componente alcolica permette anche di mitigare odori forti, come può avere alcune volte il pesce, neutralizzandoli.
Questo tradizionale ingrediente giapponese si può utilizzare anche nella preparazione di dolci: torte di frutta, frutta cotta, muffin ad esempio. Ultimo, ma non per importanza, l’utilizzo del mirin nel mondo della mixologia e del buon bere.

Kotteri e Manjo Aji-Mirin

Ci sono due condimenti che assomigliano al mirin e, spesso, vengono venduti come sostituti, nonostante siano diversi.
Il primo è il kotteri che possiede una percentuale di alcool dell 1%, utile solo per dolcificare e dare un effetto lucido ai piatti.
Il secondo è il Manjo Aji-Mirin che viene prodotto a partire dal riso dolce, ma contiene anche sale. Viene utilizzato spesso per realizzare una glassa teriyaki o per la cottura nel wok di verdure saltate. In entrambi i casi gli ingredienti sull’etichetta dicono tutto. Purtroppo.

Come conservarlo?

Grazie alla gradazione alcolica presente dell’autentico mirin (13°-14°) non c’è il rischio che vada a male. Può essere conservato in un’anta della cucina, all’asciutto e preferibilmente buio. Una volta aperto si consiglia di consumarlo entro 4 mesi, pena la perdita di parte dell’aroma. Non consigliamo il frigo perché, a temperature così basse, gli zuccheri contenuti potrebbero cristallizzarsi. Non abbiamo mai acquistato altre tipologie di mirin, ma visti gli ingredienti da cui sono composte, ci verrebbe da suggerire di conservarli in frigo, anche perché spesso non contengono alcool (che funge da conservante naturale).

Quale acquistare

Per acquistare dell’autentico mirin bisogna, in primis, guardare bene gli ingredienti che lo compongono. L’etichetta deve riportare: riso, riso dolce, koji, acqua. Punto, nulla di più nulla di meno. Le aziende che importano mirin di qualità, disponibile sul mercato italiano, sono solo tre:

 

Degna di nota anche l’azienda spagnola Kenshô, che dal 2015 produce ingredienti della tradizione giapponese, con materia prima locale.

Trovate il mirin nei negozi di alimentazione naturale. I mirin che trovate negli asian store sono spesso delle miscele sintetiche di glucosio, sciroppo, sciroppo di mais, alcool etilico, aminoacidi e sale. Questo secondo tipo di “mirin” non possiede nessuna profondità di sapore, ma risulta semplicemente dolce al gusto. Allora tanto vale usare dello zucchero.